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Torino: miti e leggende

Un pilone in riva al Po

Margherita, undicenne figlia del calzolaio Alessandro Mollar, stava aspettando la mamma fuori da un mulino da cui si servivano di farina e pane. Giocando con l'acqua inavvertitamente cadde nel fiume e i vortici creati dalle pale la immersero in pochi istanti. Accortasi della disgrazia la madre, al colmo del dolore, corse a pregare ad alta voce al vicino pilone votivo dedicato alla Madonna, compatita dal resto degli accorsi. Improvvisamente le urla di gioia e di stupore di chi aveva continuato a guardare i flutti la volsero verso il fiume dal quale ricompariva immobile ed illesa Margherita sovrastata e protetta dall'effige evanescente della Madonna raffigurata sul pilone. 
La risonanza che ebbe il fatto convinse le autorità ecclesiastiche ad appurare la veridicità dell'evento miracoloso. Data la gran mole di testimonianze dell'evento venne approvata l'anno successivo l'erezione di una chiesa per celebrare la Madonna dell'Annunziata.

Miracolo del Corpus Domini

Si narra che un ladro, dopo aver rubato un calice con un'ostia in una chiesa di Exilles (in val di Susa), abbia trasportato su un mulo la "refurtiva" fino al Mercato delle Erbe a Torino. Qui l'ostia si librò nell'aria fino a quando il Vescovo Ludovico di Romagnano, pregando, riuscì a farla discendere nel calice. 
A ricordo di questo prodigioso miracolo, nel 1607 sarà iniziata la costruzione della chiesa del Corpus Domini.

Miracolo della Consolata

Al giovane di Briancon Giovanni Ravacchio, cieco dalla nascita, comparve in sogno la Madonna che lo incaricava di ritrovare una sua icona persa da tempo sotto le macerie della chiesa di Sant'Andrea a Torino, promettendo in cambio il dono della vista. Il giovane affrontò per devozione mille difficoltà e giunto in Torino individuò il luogo esatto in cui il prezioso quadro giaceva da decenni. 
Accorso sul luogo del ritrovamento il Vescovo Mainardo pronunciò una preghiera di ringraziamento, "Ora pro nobis, intercede pro popolo tuo, Virgo Consolatrix", da cui prese il nome la chiesa restaurata, ora Chiesa della Consolata. 
Da allora si userà festeggiare l'avvenimento con una fiaccolata tutti gli anni, e i fedeli da tutto il Piemonte si affideranno alla Vergine Consolatrice donandole migliaia di ex voto.

Miracolo del Monte dei Cappuccini

Torino era da molti giorni sotto assedio da parte delle truppe francesi comandate dal generale D'Harcourt e il Monte dei Cappuccini venne espugnato con un terribile eccidio di cui furono vittima la maggior parte dei frati. 
Nel corso del massacro un soldato francese tentò di impadronirsi della pisside d'oro che conteneva le ostie consacrate, ma venne investito da una fiammata che gli ustionò volto, mani e petto. 
Subito si diffuse in città la fama del miracolo, supportata dalle deposizioni di numerosi testimoni oculari tanto torinesi quanto francesi. 
L'eco dell'evento miracoloso si può riscontrare nel dipinto del Lorenzone che si conserva nella chiesa, tuttavia già allora molti dubitavano della veridicità del fatto e lo storico Carlo Botta nella sua "Storia d'Italia dal 1534 al 1789" la rifiuta apertamente.

Il toro e il drago

Una leggenda vuole che, nella notte dei tempi quando Torino non era ancora città romana, quando ancora non aveva mura di cinta ed era abitata dai soli liguri taurini, un drago la minacciasse uccidendo gli uomini, devastando i raccolti, sterminando le greggi. Presa d'assedio dalle incursioni del mostro, la popolazione del villaggio rischiava di essere sterminata. Un giorno un pastore, proprietario di un toro magnifico e possente, ebbe un'idea: diede da bere al suo toro una tinozza di vino e poi si rinchiuse in casa, dopo aver chiuso nella stalla tutte le sue mucche. 
Il toro reso furioso dalla bevanda, cominciò a vagare in cerca di un avversario contro il quale sfogare la violenza che gli agitava in corpo e non trovando nessuno si fermò in mezzo ai campi emettendo un muggito spaventoso. Il drago raccolse immediatamente la sfida, ma alla prima carica il possente toro riuscì a conficcargli le corna nella corazza. La lotta che seguì fu tanto cruenta da concludersi con la morte di tutte e due le fiere. 
Da allora però, in segno di gratitudine e per buon auspicio, gli abitanti di Torino scelsero il toro rampante come simbolo per la città e monito di dedizione coraggiosa al proprio popolo.

Antonino Pio e il formaggio

Si dice che l'imperatore romano Antonino Pio, figlio adottivo di Adriano (passato alla storia per la grande tolleranza religiosa), fosse ghiotto di un formaggio torinese, il "cebano", prodotto dalle famose mucche piemontesi "ceves". Sembra che lo sfortunato imperatore sia addirittura morto per una indigestione del prelibato latticino.

Ovidio rinchiuso alle Porte Palatine

Il celebre poeta latino di Sulmona, autore delle straordinarie "Metamorfosi", in seguito a uno scandalo fu confinato da Augusto a Tomi, nel Ponto Eusino sul mar nero. Una leggenda vuole però che gli ultimissimi anni li abbia trascorsi rinchiuso nelle Porte Palatine a Torino. 
La leggenda è probabilmente originata dall'amicizia che legava il poeta a Giulio Vestale, figlio del re dei Cozi, amicizia che lo aveva condotto in Piemonte probabilmente più di una volta.

Il principe egizio e il dio Api

Un giorno il principe egizio Fetonte, dopo aver peregrinato per terre e mari, giunse in una pianura ai piedi dei monti dove si incontravano due fiumi e, ricordandosi del suo lontano paese, fondò una città. 
A questa impose il nome di Taurinia, derivato dal dio egizio Api, tradizionalmente di forme taurine. Il principe Fetonte morì un giorno cadendo dal suo carro in corsa dentro le acque del fiume Eridano, il Po.

Due carrozze in corsa sottoterra

Secondo una leggenda, tra i tentacolari sotterranei di Torino sarebbe anche presente una galleria che consentiva ai Savoia di percorrere il tratto tra Palazzo Reale e Venaria con due carrozze affiancate. 
Il generale Guido Amoretti, storico dell'apparato militare savoiardo, sostiene che la prodigiosa ampiezza della galleria deve trattarsi indubbiamente di un elemento mitico, ma al tempo stesso ritiene probabile l'esistenza di un tunnel di collegamento che superava (o supera tuttora) l'ostacolo della Dora in modo ancora inspiegabile.
Recentemente, in occasione della costruzione dello Stadio delle Alpi, alcuni tratti di quella galleria sono stati portati alla luce, senza però riuscire a trarre le necessarie informazioni sull'intero percorso.

I sotterranei della Bela Rosin

Si dice che Vittorio Emanuele II si servisse di un tunnel per raggiungere segretamente la Bela Rosin, la moglie morganatica. Sono stati trovati molti tratti di tunnel sotterranei, ma purtroppo finora è stato impossibile ricostruirne l'intero percorso o fare ipotesi accreditabili sull'intreccio tra loro.

Zio Arrostito ovvero il Diavolo.

Il Demonio prende in Piemonte molti nomi, spesso di origine popolare e satirica. Nasce così il "Barba rustì", antico appellativo che risale alle guerre combattute fra cattolici e valdesi. 
Questi ultimi si rivolgevano ai loro pastori con il termine reverenziale di "barba", cioè zio o anziano. Fu logica conseguenza per i cattolici ribattezzare il Diavolo con il nome di "barba", e poiché spesso i valdesi finivano sul rogo, cioè venivano "arrostiti", ecco che il demonio diventava "rustì". 
Si sono verificate anche contaminazioni della cosiddetta cultura ufficiale, che viene reinventata parafrasando e riciclando ironicamente il nome del Diavolo. Il famoso demonio Berlicche, già imputato in un famoso processo ad Issime, diventa "Berlich" e "Berloch" e da qui "Berlica fujot", cioè "lecca tegami". 
In questo caso una libera traduzione si è prestata a fornire un insegnamento morale: alla fine dei tempi il meglio dell'umanità salirà in Paradiso, mentre al Diavolo rimarranno solo le anime peccatrici, quelle bruciate e rimaste attaccate al fondo del pentolone dei peccati mortali.

Masche: streghe piemontesi

In Piemonte e a Torino le streghe sono dette "masche": l'antichissima origine del termine risale alla legge 197 dell'editto del re longobardo Rotari, che nel 643 cita la "stria (strega) quod est masca"; si tratta di un interessante caso in cui è documentato il passaggio da un termine classico (stria femminile latino di strix, barbagianni) a uno di uso corrente e popolare.

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